“Un paese sempre in cerca di salvatori” viene così definita l’Italia dal Diário de Noticias, Portogallo. Allora c’è da chiedersi se sarà davvero lui la nostra salvezza! Sono passati quasi dieci anni da quando l’ex presidente della banca centrale europea (BCE), Mario Draghi (classe 1947), si assunse il ruolo di salvatore dell’euro. Pronunciò tre parole magiche “Whatever it takes” (costi quel che costi) e gli speculatori che minacciavano di far crollare la moneta unica fuggirono con la coda tra le gambe. Quello che sembrava il punto più alto della sua carriera è stato superato qualche giorno fa, quando Draghi si è impegnato a raggiungere un obiettivo ancora più difficile: salvare l’Italia, una potenza industriale in declino che vive una perenne crisi politica, incapace di fare riforme, con un’economia che non cresce da vent’anni e indebitata fino al collo. Il destino di Draghi è stato segnato fin dall’inizio. Figlio di un ex dipendente della Banca d’Italia, frequentò un liceo dei gesuiti e perse i genitori durante l’adolescenza, prima di quel maggio 1968 che fu fondamentale per la sua generazione. Finito il liceo decise di studiare economia e prese un dottorato al Massachusetts institute of technology, negli Stati Uniti, che in quel periodo sfornò alcuni dei migliori economisti della sua generazione. Dopo l’università cominciò una carriera folgorante come alto funzionario. Contribuì a preparare l’Italia a entrare nella zona euro con rigide politiche economiche, lavorò al ministero dell’economia e poi alla Banca d’Italia ed entrò nell’élite degli alti funzionari italiani. E poi il 1° novembre 2011 venne nominato 3° Presidente della Bce e restò in carica fino al 2019. Prese il posto del francese Jean-Claude Trichet, che aveva commesso degli errori alzando i tassi d’interesse nel momento sbagliato, ma quando arrivò il suo turno Draghi non esitò: il primo giorno abbassò i tassi d’interesse e iniettò una forte dose di liquidità nel sistema bancario. Poi convinse la cancelliera tedesca Angela Merkel ad accettare un piano di acquisto di debito pubblico. E alla fine tirò fuori dal cappello quella frase che permise di salvare l’euro: whatever it takes. Ma la sua carriera non fu tutta rose e fiori. Durante il suo mandato alla Bce fece grandi pressioni su diversi Paesi e in pratica obbligò alcuni governi a chiedere un salvataggio che nessuno voleva. Con la Grecia si spinse oltre, portando il Paese sull’orlo della bancarotta, tant’è che Yanis Varoufakis, il ministro dell’economia greco, lo definì “Despota tragico”. Senza dubbio, però, Draghi oltre alle abilità di economista ha mostrato un gran talento nel comunicare e un forte istinto politico: un bagaglio che gli sarà molto utile nella sua nuova avventura a palazzo Chigi. Da giorni era in contatto telefonico con il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e quando gli è stato chiesto di formare un nuovo governo è sembrato a suo agio. Ha davanti a sé mesi molto intensi, in cui dovrà far valere la sua autorità. I governi tecnici di solito cominciano bene, ma entrano in crisi quando i partiti tornano a guardare ai loro interessi. Draghi ha un vantaggio rispetto al governo tecnico che si formò nel 2011 dopo le dimissioni di Berlusconi: Mario Monti dovette attuare una dolorosa politica di tagli alla spesa, mentre Draghi potrà spendere decine di miliardi di fondi europei. Fondi che però arrivano con qualche condizione: in cambio l’Italia dovrà realizzare delle riforme che non è stata in grado di fare per decenni. Questa è la sfida del nuovo Premier italiano!