“PERCHE’ LA VITA NON MUORE”

Il 27 gennaio scorso la Polonia si è resa protagonista della promulgazione di una legge che vieta l’aborto, e migliaia di donne si sono riversate nelle piazze di più di venti città per protestare contro tale decisione. Nel XXI secolo, dopo anni di rivoluzioni e lotte per l’affermazione del diritto di libera scelta, ancora migliaia di donne in diversi Paesi del mondo protestano per poter avere la possibilità di scegliere se proseguire una gravidanza o interromperla. Nessuno di noi ha mai scelto di vivere, ma altri lo hanno fatto per noi. E prima di venire al mondo non sapevamo cosa significasse esistere, per tale motivo, probabilmente, se non avessimo avuto la grande possibilità della vita non avremmo mai assaporato la bellezza del mondo. Ad oggi sono tante le piaghe sociali che spesso ci fanno riflettere sul senso della vita e ci inducono a pensare che in realtà non è così meravigliosa come ci fa credere il gruppo musicale Negramaro nella celebre canzone. Ma poniamoci dinnanzi ad una constatazione: se non fossimo mai venuti al mondo non avremmo provato l’amore, il dolore, le gioie, i fallimenti e i successi, ma saremmo rimasti in un iperuranio a vagare nell’infinito vuoto, nell’ante-mondo, laddove non ci è permesso di avere un’identità, una personalità e un pensiero. Allora vale la pena vivere sopportando i dolori, gli affanni e le incertezze con cui ogni giorno ci sfidiamo, vale la pena dire io sono parte del mondo. Ma ogni donna ha l’obbligo di mettere al mondo un bambino? Può una legge imporre di portare a termine una gravidanza? Un bambino non è mai un errore, una vita non è mai uno sbaglio, ma ciò non significa che una donna debba subire delle ripercussioni psicologiche e fisiche se non lo desidera. Ognuno di noi ha una propria legge morale che ci guida nel percorso più congeniale alle nostre esigenze e ai nostri bisogni, se non si sente il desiderio della maternità allora non si può assoggettare il nostro volere a quello di una legge, se questo non nuoce il benessere della società e i diritti altrui. Tutti concentrano il loro interesse nella privazione di una possibile vita, ma qualcuno si è mai soffermato nel riflettere sulla privazione di una libertà, di una salute psichica e fisica della madre che ha già una vita, una carriera avviata? Amare non è un peccato, e così come ha affermato la grande Oriana Fallaci nel suo capolavoro “lettera a un bambino mai nato” non ci si può sentire colpevoli per aver amato qualcuno in un letto. Dunque amare non si traduce con l’obbligo genitoriale, ma con amare e basta. Purtroppo in una società, come quella odierna, in cui gli stereotipi stanno alla base della forma mentis di un’ingente quantità di persone, in tanti supportano la teoria che la donna si realizzi esclusivamente all’interno di una famiglia e grazie alla maternità, non a caso il maggior numero di personaggi importanti della storia sono uomini che hanno avuto la priorità in ambito lavorativo, politico, economico… Ma chi ha deciso che una donna non possa scegliere di avere una carriera impegnativa o, più semplicemente, chi ha deciso che una donna non possa rifiutare la maternità? Di certo delle leggi frutto di un’elucubrazione a tavolino non tengono conto di ogni singola situazione che ciascuna di queste vive. Con quale criterio si giudica più importante la vita di un bambino non ancora sbocciata rispetto a quella di una donna che è già stata intrapresa?
In conclusione, citando un passo della Fallaci, “la vita non ha bisogno né di te né di me. Tu sei morto. Ora muoio anch’io. Ma non conta. Perché la vita non muore”.