Questo articolo sarà, più che il racconto della vita di Paolo Borsellino, una riflessione sulle azioni fatte dal giudice e sulle controversie giudiziarie che si crearono dopo la morte di Paolo Borsellino.
La morte dell’amico e collega Giovanni Falcone sconvolge ancor più di prima Paolo Borsellino, perché questa mancanza da inizio all’ultima stagione del giudice. Nei 57 giorni che intercorsero tra la strage di Capaci e quella di Via d’Amelio, Borsellino era consapevole che toccava a lui morire. E più volte, sia direttamente sia indirettamente, ha fatto intendere ciò: il 28 maggio 1992 egli, nella presentazione di un libro di Pino Arlacchi, pronuncia tali parole: “Raccogliendo financo gli ultimi respiri di Giovanni Falcone, pensai che si trattasse di un appuntamento rinviato”. Roberto Scarpinato dichiara inoltre: “Nei momenti in cui si commemoravano le vittime della strage di Capaci nel Palazzo di Giustizia, il giudice Borsellino si gira verso di noi, e facendo un gesto con la mano verso quelle bare, ci disse che quello scenario era ciò che ci aspettava”. Mosso da rabbia più che da entusiasmo, il giudice lavora sempre di più e si distacca sempre di più dalla famiglia, poiché aveva il desiderio di indagare sulla morte di Giovanni Falcone. Sempre nella presentazione del libro di Pino Arlacchi, e sempre in modo indiretto, egli dichiara: “Ho cercato in questi giorni di parlare il più possibile di Giovanni Falcone, e l’ho fatto soprattutto per un atto d’amore, ma l’ho fatto pure perché ritengo sia assolutamente necessario parlarne”. Ma, in due mesi, la magistratura che indagava sulla morte di Giovanni Falcone non ha mai convocato Borsellino. Resta quindi il mistero su cosa avrebbe dichiarato riguardo la morte dell’amico e collega se solo la magistratura inquirente lo avesse chiamato…
Un altro mistero è quello dell’agenda rossa. L’Agenda Rossa era un’agenda per l’appunto dalla quale Borsellino non si staccava mai, perché lì probabilmente erano scritti appunti che avrebbero cambiato di molto la situazione. I figli del giudice affermano che quel libriccino non aveva lo scopo di contenere appunti personali del padre. Incredibilmente, l’agenda scompare poche ore dopo l’esplosione dell’autobomba, e riguardo a ciò si è aperto nel 2006 un processo. Infatti è in quell’anno che viene effettuata una segnalazione da parte di un giornalista, che aveva scattato una foto dove si può notare che l’allora capitano dei Carabinieri, Giovanni Arcangioli, sottrasse la ventiquattr’ore di Paolo Borsellino dal luogo del delitto. Questo capitano dichiarò che ebbe consegnato la borsa ai giudici Vittorio Teresi e Giuseppe Ayala, nonostante poi i due non confermarono ciò che Arcangioli disse. Quindi nel 2008 il gip incriminò il capitano Arcangioli non solo di false dichiarazioni, ma anche di aver rubato l’agenda rossa. Poi il caso fu chiuso con un nulla di fatto. Infine in una trasmissione di Rai 3 (Report), Salvatore Baiardo, per anni gelataio di un paese piemontese, ma che negli anni ‘90 aiutò nella latitanza i fratelli Graviano, principali accusati della strage di Via d’Amelio, ha sostenuto che l’agenda rossa fosse “in più mani”, presumibilmente di Matteo Messina Denaro e Giuseppe Graviano e altri.
Ci sarebbe ancora tanto di cui parlare riguardo a Paolo Borsellino, ma per chi volesse approfondire l’argomento, si consiglia il documentario di Rai Storia: “Paolo Borsellino: l’ultima stagione”. Si potrà avere finalmente giustizia a 30 anni dalla sua morte?