Preferiresti rimanere in un bosco con un uomo o con un orso? Statisticamente, le ragazze, o almeno
la maggior parte di esse ha pensato "con un orso", in quanto da donne sappiamo di quali violenze
sono capaci gli uomini, ancor più degli animali. Anche se forse sarebbe ancora peggio rimanere da
sole con un dio e il perché ce lo dimostra la mitologia greca e latina.
Infatti in moltissimi miti eziologici vediamo le donne vittime di attenzioni indesiderate supplicare
altre divinità di essere trasformate in piante o animali pur di sfuggire alle violenze maschili, spesso
perpetrate da Zeus/Giove che in quanto capo degli dei esprimeva il suo potere appunto con la
pretesa e la capacità di possedere il corpo femminile. Infatti stupri "famosi" quali quello di Europa o
Io descrivono un topos letterario che è quello della donna che è inseguita e fugge, per finire
sopraffatte nella violenza nonostante abbia opposto resistenza. La fuga dal seduttore è infatti un
comportamento che dall'Ars amatoria fino ad oggi (a dispetto di qualsiasi idea di consenso) viene
vista come una provocazione perché la donna che dice no in realtà lo fa solo per mettere alla prova i
sentimenti dell'amante, in quanto è incline per natura a una leggerezza di tipo erotico.
La sola seduzione però a volte non basta, dato che vengono narrati diversi espedienti quali il vino e
gli effetti dell'alcol come nel caso di Dioniso ed Erigone, nel quale il dio dell'ebbrezza porta allo
stordimento la vittima pur di possederla. Come si può ben vedere dopo millenni le modalità in cui le
donne vengono violentate non sono cambiate né tantomeno il fenomeno ha accennato ad una
minima discesa.
Riconoscendo che il mito ha sempre assunto il ruolo di linea guida di comportamento, giustificando
un'azione all'interno della società civile, ecco che lo stupro viene narrato e scritto da uomini per gli
uomini, senza alcun senso di criminalità o di colpa. Anzi all'interno di questi racconti la colpa viene
addossata alla vittima perché viene meno la sua pudicizia, come si vede in diversi passi della
drammaturgia greca e dalla quale si originerà poi quella latina. Menandro ci offre diversi esempi fra
i quali l'Arbitrato che dipinge con sincerità cosa significava per una donna subire una violenza:
Panfile durante una festa viene stuprata dal suo promesso sposo Carisio, ma ella, non riconoscendo
il suo violentatore a causa dello stato d’ebrezza in cui si trovava al momento dello stupro, porterà
addosso la colpa e il frutto di quella violenza, allontanandosi volontariamente con vergogna dal
tetto coniugale. Sarà dunque su Panfile a ricadere la colpa e la ragion della vergogna, in quanto ella,
promessa sposa, ha intrattenuto rapporti con un uomo rimanendovi incinta, e non su Carisio, che pur
essendo promesso sposo ha non soltanto consumato rapporti con altre donne tra cui Panfile stessa,
ma ha commesso uno stupro, una violenza sessuale di gravissima entità. Vediamo che il punto di
vista femminile nello stupro nella cultura classica è scarsamente trattato benché esista una
rappresentazione che ben descrive i sentimenti provati dalla vittima. Questo caso isolato ce lo offre
Euripide nella tragedia Ione dove la principessa Creusa si lascia andare in un monologo di dolore e
disperazione dove accusa direttamente il suo stupratore: il dio Apollo. Vi lascio le parole
potentissime che il tragediografo presta a questa vittima illustre ma che si rispecchiano nella rabbia
e nello sconforto di tutte le donne lasciate sole dopo aver visto la propria persona violata:
“Anima mia, come faccio a tacere? Come farò a svelare quell’amplesso segreto, smarrendo ogni
ritegno? E che cosa me lo impedisce più? Con chi ho da gareggiare in virtù, ormai? Lo sposo mi
ha ingannato, non ho più famiglia, né figli, e anche la speranza se ne è andata. La mia speranza,
cercavo di tenerla chiusa in me, ma non sono riuscita, tacendo le nozze e quel parto disperato. Lo
giuro sulla stellata dimora di Zeus, sulla mia dea che abita una collina rocciosa e presso le rive del
lago Tritonio gonfio di acque: non tacerò più quell’incontro, voglio sgravarmi il peso dall’anima. I
miei occhi grondano pianto, la mia anima patisce, oltraggiata da tutti, dèi e uomini: ora rivelerò
come mi hanno ingannata, ingrati e traditori. Dico a te, che canti al suono della cetra d’oro dalle
sette corde, costruita con corna di animali uccisi, che riecheggia di canti melodiosi, figlio di
Latona: ti accuso alla luce del sole! Ti sei presentato con la bionda chioma scintillante come oro.
Io avevo in grembo un mazzo di fiori colorati appena colti, e davano barbagli d’oro per le
ghirlande; tu mi hai afferrata per le bianche mani e gridavo; «Madre mia!». Tu, dio, mio sposo, mi
hai trascinata nella grotta e senza vergogna hai celebrato le tue nozze. E io, la sventurata, ti
genero un figliolo, e per timore di mia madre lo abbandono nello stesso luogo che fu il nostro
giaciglio, là dove tu hai preso me, infelice, sopra un letto infelice. Ahi, ora quel figlio mio, che è
anche tuo, è morto, divorato dai rapaci. Tu però, sciagurato, suoni e canti alla tua cetra. Sì, parlo a
te, figlio di Latona, che indichi i destini sopra un seggio d’oro, posto nell’ombelico del mondo, alle
tue orecchie grido: ah, seduttore, infame, che al mio sposo, che per te era nulla, hai donato un
figlio per la sua casa, mentre il figlio tuo e mio, sconsiderato!, è morto sbranato da un rapace,
strappato alle fasce materne. Ti odia Delo, e l’alloro presso la palma dalle morbide chiome dove,
in sacre doglie, Latona ti ha messo al mondo sopra un prato divino.”
E dopo più di duemila anni, alle donne non è stato riconsegnato neanche un briciolo della loro
dignità in eterno dilaniata. Indubbiamente, Europa, Io, Erigona, Panfile, Creusa e ogni singola
donna vittima di violenza fisica e sessuale, all’essere umiliate, oggettificate e annullate dalle grinfie
di un uomo, avrebbero di gran lunga preferito esser sbranate da un orso.
Sofia Giardina, classe VBC