COP29: ipocrisie e contraddizioni dietro la facciata del cambiamento climatico

Negli ultimi giorni, mentre i media italiani riportano il dibattito della COP29 con toni rassicuranti
e voci istituzionali come quella di Giorgia Meloni o del Papa, che occupano il centro della scena,
qualcosa di importante sta accadendo lontano dai riflettori: decine di giornalisti indipendenti sono
stati arrestati a Baku, capitale dell’Azerbaijan, dove si tiene la conferenza. Queste persone hanno
provato a far emergere le contraddizioni di fondo di un evento che dovrebbe essere simbolo della
lotta al cambiamento climatico, ma che si svolge in un contesto profondamente incoerente.
L’Azerbaijan è un paese la cui economia si basa ancora pesantemente sui combustibili fossili,
come petrolio e gas naturale, che costituiscono circa il 90% delle sue esportazioni. A livello
politico, il regime è stato spesso accusato di limitare la libertà di stampa e violare i diritti umani,
rendendo ancora più problematico il fatto che una conferenza di tale rilevanza internazionale venga
ospitata proprio lì. È lecito chiedersi, allora, se sia davvero il luogo giusto per promuovere la
sostenibilità.
Tra i casi più assurdi c’è l’uso di un meeting ufficiale da parte del CEO della COP29 per discutere
affari legati alla compravendita di petrolio. Anche il settore privato ha preso una piega
preoccupante: molte aziende che sponsorizzano la conferenza sono grandi inquinatori che
sfruttano eventi del genere per migliorare la propria immagine pubblica. Questo fenomeno, noto
come greenwashing, è ormai un problema sistematico in eventi internazionali legati all’ambiente.
Ma non è solo l’Azerbaijan a essere sotto accusa. L’intera comunità internazionale sembra essere
in ritardo nel rispettare gli obiettivi fissati dagli accordi di Parigi sul clima. Gli impegni per
limitare l’aumento della temperatura globale a 1,5 °C rispetto ai livelli pre-industriali sembrano
sempre più lontani, mentre le emissioni globali continuano a crescere. Secondo il Climate Action
Tracker, molti paesi, inclusi quelli del G20, stanno investendo ancora miliardi in nuovi progetti
legati ai combustibili fossili.
Come può un evento del genere parlare di cambiamento climatico con credibilità? È come se
questi leader mondiali volessero “lavarsi la coscienza”, facendo grandi dichiarazioni pubbliche ma
continuando a perseguire interessi economici che alimentano la crisi climatica. Certo, i social
media oggi ci permettono di venire a conoscenza di queste cose e di dare voce alle critiche, ma è
sufficiente? Il cambiamento deve partire da chi detiene il potere, da chi davvero può incidere sulle

politiche globali. Eppure, anche noi cittadini non possiamo rimanere in silenzio: condividere,
discutere e mettere pressione sui decisori politici è il minimo che possiamo fare.
Questa vicenda mi ha fatto riflettere. A volte, l’impressione è che queste grandi conferenze
internazionali servano più a mantenere il sistema che a cambiarlo davvero. È ora di chiedere
coerenza: non possiamo risolvere una crisi planetaria continuando a fare affari con le sue cause.
Se non pretendiamo di meglio, chi lo
farà?

Ginevra Scimè, classe VBC