Dopo essere stato presentato alla 79ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, il 23 Febbraio è stato distribuito nelle sale cinematografiche italiane l’attesissimo film “The Whale”, il quale vede il ritorno sugli schermi del regista Darren Aronofsky e dell’attore Brendan Fraser, con anche la partecipazione di Sadie Sink, attrice che conosciamo per il ruolo di Max nella serie Stranger Things. A far brillare il film è sicuramente la superlativa performance di Brendan Fraser che domina con maiuscolo talento una gamma emotiva vastissima e per cui ha vinto anche un Oscar come miglior attore protagonista. Il film parla di Charlie, un professore di scrittura creativa le cui lezioni si svolgono solo online e a telecamera spenta. L’uomo infatti si vergogna di essere un obeso patologico in condizioni ormai critiche, immobilizzato in casa propria, dove vive isolato dal mondo con la sola assistenza dell’amica Liz. Dietro questa spirale di autodistruzione e reclusione c’è un trauma del passato, la morte del suo ex compagno Alan, causa per cui si è ridotto così. Ma quando l’ennesimo infarto lo colpisce Charlie capisce che non può semplicemente abbandonarsi a un’entropica fine, deve riuscire a sanare almeno una delle sue ferite: il rapporto con la problematica figlia Ellie, abbandonata otto anni prima. Il protagonista in questo modo intravedrà la possibilità di fare finalmente qualcosa di buono nella propria vita, prima che sia troppo tardi. Il titolo di The Whale (“la balena”) fa riferimento in modo figurato alla mole del protagonista ma anche al romanzo Moby Dick di Herman Melville, più volte citato in modo diretto e indiretto nella pellicola. Questo film rientra nella categoria di film che o si amano o si odiano, forse perché tratta di temi fin troppo delicati che vanno a toccare con forza la sensibilità del pubblico, commuovendolo e allo stesso tempo angosciandolo profondamente.
The Whale infatti rappresenta un dramma umano per eccellenza: difficile sedersi in sala e assistere impassibili alla proiezione, senza avvertire la sensazione di aver appena vissuto un’esperienza umana devastante e indimenticabile. La pellicola di Arofnosky è un colpo al cuore: per quanto sia possibile farsi alte aspettative sulla performance di Fraser, non c’è modo di arrivare preparati alla sua prestigiosa interpretazione. Racchiuso all’interno di una figura massiccia e sofferente, Fraser riesce a dare vita a un personaggio strepitoso, fatto di sguardi e voce più che di recitazione fisica. Si tratta di un film doloroso, drammatico e claustrofobico, a partire dalla scelta del formato 4:3, passando per il corpo di Charlie che lo costringe alla staticità, concludendo con la sua stessa casa, unico luogo del film, casa che sembra quasi essere una metafora del suo corpo, dalla quale vediamo le ombre della vita degli altri, perché siamo troppo ingombranti per poterci entrare dentro. Per tutta la durata del film ci sentiamo esattamente pesanti come Charlie: pesanti come un padre che sparisce per tutta la vita e riappare, come le persone “diverse” che la società non ammette, come un passato che ci portiamo dietro, pesanti come umani. The Whale ci chiede espressamente di essere sinceri con noi stessi. Ci fa piangere perché quella “balena” siamo noi, perché ci ricorda che abbiamo bisogno di credere in qualcosa, che abbiamo bisogno di sperare, che necessitiamo qualcun altro per vivere e salvarci. È paradossalmente un film che trabocca di amore: amore per una figlia, amore per il proprio compagno, amore per un amico, amore per la speranza. L’unica cosa che manca è un po’ d’amore per sé stessi.
Sofia Cigna IIIBC