Canicattì nei toponimi: tra referenze naturali e leggende

Il toponimo è il nome proprio di luogo geografico, spesso non ci si interroga sull’origine e il motivo che si cela dietro l’attribuzione di un nome ad un determinato luogo, tuttavia, occorre dire che spesso “NOMEN OMEN”.

Al fine di scrivere questo breve articolo è stato fondamentale per me l’aiuto di una ragazza. La ragazza in questione è Federica Giardina: ha 22 anni ed è originaria di Canicattì, è laureata in Lettere Moderne ed ora sta scrivendo la sua tesi di Laurea sui Toponimi extra-urbani di Canicattì. Mi aiutato a comprendere il significato che si cela dietro il nome di alcune Contrade di campagna più “famose” della città, inoltre mi ha anche parlato dell’esistenza di alcune leggende relative a qualche zona campestre.

Sin da subito mi ha spiegato che la toponomastica (termine greco da topòs, “luogo”, e ònoma “nome”) è la scienza che studia la denominazione delle aree destinate alla pubblica circolazione, in parole semplici, studia i toponimi, ovvero il nome proprio di un luogo. Come anticipato all’inizio spesso un nome può nascondere o rivelare qualche verità o qualche leggenda.

Partirei proprio da “Canicattì” –Nome dalla pronuncia ‘scoppiettante’ che richiama tra chi non sa cosa e dove sia, feroci lotte tra cani e gatti. Si tratta senza dubbio di una paretimologia, l’origine del nome non ha nulla a che vedere con ‘cani e gatti’. Diversi sono i nomi attribuiti alla nostra città Hadagattin, Ayn Al Quattà, Hadag-gattin, ma l’origine del nome Canicattì deriverebbe invece da un toponimo, ancora di origine araba, Handaq-at-tin, “fossato di fango” e di argilla, indicando, così, il torrente fangoso (oggi coperto) che attraversa la città. Tale origine troverebbe conferma in antichi documenti, ove la città è indicata con Handicattini (secolo XV) ed in seguito Candicattini (secolo XVI), fino a giungere al nome attuale. La città avrebbe avuto, quindi, due nuclei originari distinti, uno a valle ed uno più a monte, l’attuale Borgalino.

Le contrade di campagna possono derivare il loro nome: dal tipo di terreno, dalla presenza di una chiesa dedicata a un santo, dalla presenza di una determinata flora o fauna, dalla presenza di una sorgente d’acqua, dal nome di un proprietario terriero, ecc…

Ad esempio: Contrada Rinazzi: chiamata così per la presenza di “rinaa” cioè terreno sabbioso; Santa Marta: chiamata così per la presenza della chiesa dedicata alla santa; Fastuchera: chiamata così per la presenza di numerosi alberi di pistacchio; Tre Fontane: chiamata così per la presenza di tre fontane precedentemente attive.

Tuttavia non sono rari i casi in cui, in assenza di una motivazione etimologicamente o geologicamente trasparente, si ricorre ad una leggenda per tentare di giustificare l’attribuzione di un determinato nome.

È il caso di Portella di Orlando, inrono alla quale si è diffusa una leggenda legata al paladino Orlando il Furioso. Ricordiamo inoltre Contrada Lumpisu, sempre secondo una leggenda è chiamata così perché lì sarebbe stato ritrovato un uomo morto impiccato ad un albero, appunto come un peso (pisu), inoltre molto probabilmente inizialmente il nome di questa contrada era Lu Mpisu e solo successivamente ci fu un processo di univerbazione ( Lu mpisu> Lumpisu).

Tra le leggende legate ad alcune Contrade di campagna ricordiamo:

  • Orlando (portella) il toponimo è legato sicuramente alla presenza di diverse leggende in relazione alla sua confermazione geologica dell’area. La leggenda più comune e persistente riguarda il passaggio dei paladini al seguito di Orlando che con la sua spada avrebbe colpito i rilievi calcarei di Pizzo Giummello dando loro l’attuale conformazione. La portella mette in comunicazione i due versanti della serra Lunga e di monte Grotticelle. Tra Canicattì e Naro svettano maestosi i Pizzi di Giummello, in località Portella d’Orlando. Anticamente esisteva un’unica vetta di Monte Giummello, fin quando il paladino Orlando, dovendo raggiungere la località di Vito Soldano, ove erano acquartierati i nemici saraceni, pensò bene di abbreviare il suo percorso aprendosi un varco con la famosa spada, detta la durlindana. Questa storia la possiamo ricollegare all’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto scritto nel 1516, per la presenza di vari elementi in comune come i saraceni.

Un ‘altra leggenda narra che sotto le due vette di monte Giummello esista un tesoro sorvegliato a vista, notte e giorno, da un gigante, il terribile Mano di Ferro, lo stesso che lo avrebbe nascosto in epoca remota, dopo aver spaccato la cima del monte con un pugno e creato i Pizzi. Chi vuole impadronirsi del tesoro deve portare sulla cima cento quintali di spoglie di cipolle. Il gigante prenderà allora la bilancia e ordinerà ai venti di scatenarsi e soffiare con violenza. Se nessuna spoglia volerà via, la bilancia cadrà dalle mani del gigante, i Pizzi cozzeranno tra di loro, sgretolandosi, e l’oro apparirà nel suo splendore, mentre Mano di Ferro in un lampo si dileguerà —Giummeddu vuol dire piccolo fiocco (giummo) o può forse derivare dal francese jumelles-gemelle, essendo le due rocce quasi uguali. Giummeddu potrebbe essere anche il nome di un personaggio che anticamente avrebbe abitato nella contrada.

  • Per quanto riguarda la leggenda della Madonna del latte di Contrada Gulfi, se ne raccontano alcune leggende gentili e significative. Una tra le più belle narra di un agricoltore-pastore (picuraru) che aveva una mucca che non produceva latte, nel frattempo al pastore nacque un figlio che però non riusciva a sfamare, ad un certo punto mentre la mucca era lasciata libera al pascolo inizia a inondare il prato e successivamente apparve la Madonna con il bambinello in braccio. Un’altra versione racconta che mentre un bovaro-agricoltore conduceva due magre mucche al pascolo, le due bestie fuggivano in direzione della rocca e parevano impazzite; andarono a fermarsi proprio ai piedi della roccia, ma in un modo così strano da sembrare in ginocchio, il bovaro per richiamarle diede dei colpi di verga e le mucche lo colpirono schizzando latte caldo, egli si pose in ginocchio e pregò piangendo, poi radunate le due mucche tornò a casa dove trova la moglie, ella ricava tanto di quel latte da sfamare tutta la loro prole. Poi si recarono alla roccia con un piccone per fare una piccola grotta, ma al primo colpo di piccone la roccia si spappolò scoprendo una bella immagine scolpita, con la Madonna che allatta il Bambinello, che chiamarono “La Madonna del latte”, e vi costruirono una chiesetta in onore di Maria, visibile ancora oggi.

 

Spero che quest’articolo sia utile e stimolante per tutti (studenti e non, studiosi e non).

Io personalmente non ho trovato un sito che parlava della leggenda di portella di Orlando, indispensabile è stato l’aiuto di Federica e delle sue immense conoscenze sulla la toponomastica, frutto di ricerche sul campo e fonti documentarie.

VI inserisco qui un link con cui potrete mettervi alla prova e vedere quanti di questi luoghi conoscete: https://docs.google.com/forms/d/e/1FAIpQLSfiaOxwDGLi6jG6EmuEvKi1CaWD7PaH1RTcW85T2EZORv0sHw/viewform?fbclid=PAAaaNOfgojapfIoq4wlNGuNLFullK8w9ZmhXBcojolVn8C7rwi6IO-9vkd-k_aem_AQ5yGBxzJpi2u20YiXlMD7-HZpQBcAvBX79VZztPH5ga5v5ckAuoZ9jMc_niN8NcGOQ

Aurora Frangiamone III A Classico