Essere “genitori dei propri genitori” in famiglie problematiche può essere un compito difficile e stressante, ma può anche essere un’occasione per i figli di dimostrare la loro resilienza e la loro capacità di affrontare le sfide.
In una società che pone obiettivi sempre più complessi e richiede di essere costantemente attivi e performanti, può accadere che i bambini vengano investiti di responsabilità che non dovrebbero appartenere all’infanzia che è il periodo della vita caratterizzato dalla spensieratezza, dalla leggerezza, dall’assenza dei pesi propri dell’età adulta. Talvolta, sono gli stessi genitori a spingere i figli in questa direzione e a “costringerli” a rivestire un ruolo che non gli compete.
In questo caso, si parla di adultizzazione precoce che è la tendenza a investire i figli di ruoli, aspettative, abitudini e comportamenti propri dell’età adulta con conseguenze che emergeranno soprattutto quando questi bambini diventeranno adulti.
Il rischio di diventare “genitori dei propri genitori” si può presentare, ad esempio, quando il genitore è troppo incentrato su di sé, si mostra anaffettivo, ha scarsa capacità emotiva o empatica, o ancora presenta una psicopatologia o una dipendenza tali per cui la vicinanza fisica ed emotiva vengono a mancare. In tutti questi casi il genitore non ha le capacità necessarie per essere definito un buon genitore e non permette quindi al figlio di avere un’infanzia serena.
L’adultizzazione precoce non consente al bambino di sviluppare una propria identità, caricato da compiti e richieste genitoriali eccessive e i figli possono sentirsi stressati e sopraffatti dalle responsabilità che devono gestire, tra cui la gestione della casa, la cura dei fratelli minori…
Quando si creano queste situazioni, diventa difficile che il bambino riesca ad accorgersene e a togliersi dal ruolo in cui è stato messo perché non è stato abituato ad essere in altro modo. Se questo per il genitore può essere rassicurante, provoca nel figlio un equilibrio disfunzionale di cui se ne portano i segni da adulti. Il risultato è, infatti, un bambino che non sa, non riesce e non può vivere pienamente la sua età, e si ritrova costretto in uno schema mentale lontano da quello in cui dovrebbe trovarsi, preoccupandosi di questioni che non dovrebbero interessarlo e facendosi spesso carico di problemi familiari di cui non dovrebbe conoscere i dettagli. Dato il coacervo di malessere cui sono stati sottoposti, i bambini cresciuti “troppo in fretta” possono sviluppare una serie di disfunzionalità e disagi anche molto seri in età adulta. Il rischio è quello di diventare adulti anaffettivi, che non riescono a provare affetto e ad attaccarsi a una persona, tendono a isolarsi, sono troppo autonomi, eccessivamente concentrati solo su se stessi e pertanto non riescono a provare fiducia verso l’altro.
Può accadere anche che i figli possano trovare conforto e significato nell’aiutare i propri genitori, vedendo questa esperienza come un’opportunità per rafforzare i loro legami familiari e per apprezzare il valore della vita. L’accudimento invertito, inoltre, rappresenta una difesa per il bambino di fronte a una realtà in cui i suoi bisogni non sono visti o non ricevono sufficiente risposta, perciò egli impara a sacrificarsi e rispondere ai bisogni dei suoi genitori per poter essere amato.
Certamente, essere “genitori dei propri genitori” in famiglie problematiche può essere un compito difficile e stressante, ma i figli possono sviluppare la resilienza attraverso la gestione delle loro emozioni, la capacità di trovare supporto e l’adattamento positivo alle situazioni difficili. Con il supporto adeguato e l’aiuto della comunità, i figli possono trovare il modo per prendersi cura dei propri genitori e di se stessi, e gestire le loro responsabilità di genitore e figlio in modo equilibrato
Ester Beatrice Morreale IAC