Quanti outfit belli abbiamo? Quanti di questi sono del fast fashion?
È sempre facile chiudere gli occhi di fronte a cose che non ci riguardano in prima persona: inquinamento, animali, guerre, bullismo, ma anche vestiti e sfruttamento. Negli ultimi anni hanno preso sempre più piede piattaforme che permettono di essere alla moda a bassissimi prezzi, anche se tutti sappiamo che l’acquisto di centinaia di vestiti di cui non abbiamo bisogno ha ovviamente dei retroscena e delle conseguenze. Questa tendenza è la manifestazione dell’era del consumismo, che nel campo della moda, come in quello alimentare, riporta dati davvero preoccupanti. Secondo il Report di Changing Markets Foundation negli ultimi 20 anni il numero di capi acquistati per consumatore è più che raddoppiato, mentre l’utilizzo dei capi è diminuito di quasi il 40% negli ultimi 15 anni. Questo fenomeno ha preso il nome di “fast fashion”. Per quanto riguarda il fast fashion, uno dei grandi colossi a cui facciamo riferimento è SHEIN, possiamo far rientrare questo brand in un’ulteriore categoria: l’ultra fast fashion; infatti, se nel 2021 Zara e H&M (come molti altri brand, fra cui alcuni molto rinomati) hanno immesso sul mercato oltre 10.000 capi, SHEIN ha pubblicato sul proprio sito oltre 315.000 nuovi articoli, guadagnandosi l’etichetta di “ultra fast fashion”. Vestiti superflui e che finiscono per inquinare quanto, se non più, di situazioni tanto denunciate; l’inquinamento, però, non è l’unico problema causato da questo tipo di mercato, che nasconde un mondo di sfruttamento, soprattutto di minori, e utilizzo di materiali nocivi e metalli pesanti, oltre i limiti ammessi dalla legge; è proprio per questi motivi che SHEIN ha inviato delle notifiche a chi avesse acquistato determinati capi ritenuti nocivi e invitando quindi i clienti a liberarsene, senza però prendersi carico dello smaltimento.
A pagare il prezzo più alto di ciò non sono solo i clienti, ma soprattutto ‘I lavoratori che operano nelle filiere produttive del colosso cinese e sono esposti a seri rischi sanitari, ma anche le popolazioni che vivono in prossimità dei siti produttivi’ come dichiara Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna inquinamento di Greenpeace Italia. Greenpeace è un’organizzazione non governativa ambientalista e pacifista fondata a Vancouver nel 1971. Un report di quest’organizzazione ha analizzato 47 capi in tutta Europa e in 45 di essi sono stati trovati ftalati, formaldeide, metalli pesanti che, come stabilito dall’Unione Europea, possono essere utilizzati solo in quantità davvero esigue, e in 7 vestiti, non solo queste sostanze erano presenti, ma in quantità più che maggiori di quanto consentito, fino a 5 volte in più. Il caso SHEIN che ha più interessato i media riguarda le presunte richieste di aiuto da parte dei lavoratori di queste ‘fabbriche’, infatti molti utenti hanno condiviso foto di etichette con frasi esplicite di aiuto, anche se la vicenda da parte del colosso cinese è stata negata. Sono quindi tante le motivazioni che dovrebbero allontanarci da questo tipo di mercato, che non esiste esclusivamente online, ma anche nei negozi con vasta scala di vestiti prodotti al di fuori dell’Unione Europea, ma se molte persone sono al corrente di ciò, perché continuiamo a comprarli? Avviene per molte ragioni: innanzitutto la vasta gamma di scelta sia di modelli, ma soprattutto di taglie, cosa che molto spesso non è reperibile in negozi più sostenibili, ma meno inclusivi; influisce anche il basso costo, che ovviamente non è possibile reperire altrove. Purtroppo queste modalità d’acquisto non sono utilizzate solo da chi ha necessità, lo vediamo nei famosi haul dei vestiti acquistati su SHEIN, in cui vengono mostrati centinaia di vestiti anche da parte di chi afferma di non avere bisogno di acquistare. Quindi il problema deriva sia da chi potrebbe acquistare altrove, come l’usato, ma per vari motivi sceglie di non farlo o non può e chi volontariamente ignora le conseguenze non solo comprando, ma anche abusando di queste piattaforme.
Di fronte a una tale situazione non si può più far finta di nulla, infatti, anche se mettessimo da parte l’umanità, ignorando lo sfruttamento, ignorando i danni ambientali, non dovremmo assolutamente ignorare le conseguenze sulla nostra salute.
Ilaria Giardina 5ªC