Negli ultimi tempi si è posta particolare attenzione a ciò che viene definito “autismo”, ma cos’è davvero? Quando si parla di autismo, più che ad un disturbo specifico, dovremmo correttamente riferirci ad uno spettro, sia per le sue manifestazioni molto varie e sia perché esistono vari livelli di gravità, da forme più sfumate ad altre più acute e dalla fatica a relazionarsi con il mondo circostante (a livello sociale, comunicativo e cognitivo): di fatti è ormai datato limitare il concetto di autistico solo ed esclusivamente a soggetti che riportino gravi compromissioni. In linea generale, l’autismo è una condizione che influisce soprattutto sulla capacità di comunicare, di relazionarsi e di rispondere in modo appropriato all’ambiente circostante; infatti come suggerisce l’etimologia ( “autistico” deriva dal greco autos, “se stesso”), si riferisce a una sorta di chiusura in se stessi e a una maggiore focalizzazione sulla propria interiorità. Nello specifico, le persone autistiche presentano anche delle caratteristiche senso-motorie peculiari che co-determinano una coerente e difettuale apertura di mondo, sintomi di un’elevatissima sensibilità. Una conseguenza di ciò è per esempio il modo in cui i vari oggetti si presentano ai loro occhi: se decontestualizzati infatti è come se loro non fossero in grado di cogliere la potenzialità di tale oggetto in quanto chiusa rispetto alle differenti possibilità d’azione. Allo stesso modo, le stereotipie e i comportamenti ripetitivi dimostrano che l’ambiente sembra aprirsi solo parzialmente come luogo di manifestatività.
Le teorie psicologiche precedenti sull’origine dell’autismo sono state superate essendo ormai chiaramente riconosciuta la componente neurologica e la predisposizione genetica. In particolar modo le parti del cervello che risultano essere maggiormente colpite sono: il cervelletto (implicato nelle capacità di attenzione e nel comportamento motorio), l’amigdala (coinvolta nel riconoscimento e nell’espressione delle emozioni), alcune parti del lobo temporale (adibite allo sviluppo del linguaggio e della percezione sociale) e la corteccia prefrontale (coinvolta in diverse abilità quali l’attenzione, la pianificazione e il comportamento sociale); l’autismo, oltre a colpire direttamente queste aree provoca disfunzioni a livello delle loro connessioni non consentendo quindi di lavorare in maniera coordinata come normalmente accadrebbe in un soggetto neuro-tipico. In sintesi gli autistici hanno una visione del mondo diversa rispetto a una persona neuro-tipica, e questo è dovuto a causa di un differente processo di “fare esperienza”, nonché una diversa e parziale percezione degli oggetti, che li preclude ad un tipo di esperienza focalizzato e decontestualizzato.
Le persone con autismo presentano un deficit di cognizione sociale perché già a monte presentano una peculiare e deficitaria modalità di approccio alla comprensione pratica del mondo; questo impedisce di conseguenza non solo di accedere alle possibilità d’azione, ma anche ad avere un rapporto con il tempo e quindi essere capaci di concepire dei progetti come se il futuro non esistesse e non si appalesasse; noi invece in quanto esseri umani esistiamo in conseguenza del nostro passato e ci progettiamo continuamente verso un futuro prossimo o lontano che sia.
Ovviamente essendo una condizione neurologica, non esiste una cura a tutto ciò, sarebbe più corretto parlare di riabilitazione, che mira, per quanto possibile, a ripristinare, minimizzare o compensare gli eventuali deficit funzionali del paziente, intesa come sostegno che permetta di accompagnare il soggetto a “stare” nel mondo. Questo è possibile solo se si impara ad ascoltare e recepire correttamente ciò che egli tenta, a modo suo, di comunicare: è il caso del cosiddetto “stimming” (auto stimolazione) che prevede l’esecuzione di azioni ripetitive considerate stimolanti che fungono da una sorta di valvola si sfogo causata da un sovraccarico sensoriale. Pertanto è assolutamente scorretto tentare di obbligare le persone autistiche ad applicare regole e costumi considerate normali, proprio a causa di questo loro diverso meccanismo mentale, non bisogna quindi biasimarli nel momento in cui questi manifestino dei comportamenti “bizzarri” o “inappropriati”, in quanto necessari per il loro benessere, e anzi sarebbe opportuno comprenderli ed incoraggiarli entro i limiti del possibile, in modo da non farli in sentire in colpa per essere ciò che semplicemente sono.
Epifania Bordonaro VCC