Un mondiale poco mondiale: quando il calcio non è più del popolo

“Il calcio è del popolo”

Questa l’affermazione di Aleksander Ceferin, presidente della Uefa (organo che si occupa dell’organizzazione a livello europeo delle competizioni calcistiche), dopo delle divergenze con alcuni club e la Champions League avvenute nel 2021. Questa frase però sicuramente non è in linea con tutto ciò che è successo in Qatar per la preparazione della 22esima edizione dei Mondiali, organizzata dalla Fifa (massima federazione per gli eventi calcistici mondiali).

Il campionato mondiale infatti si svolge in terra qatariota e per la prima volta nella sua storia si gioca nella stagione autunnale, iniziando il 20 novembre e terminando il 18 dicembre. Questa scelta è stata la prima delle tante che hanno fatto discutere. Nel 2010, anno della decisione della sede del Mondiale, si vociferò di una cena con l’attuale emiro del Qatar, l’ex presidente francese e l’ex presidente della Uefa Platini, anch’egli francese. In questo incontro, avvenuto pochi giorni prima della votazione, si pensa che la sede del fatidico Mondiale sia stata “barattata” con un acquisto di armi francesi. Il tutto, nonostante diverse indagini, non è ancora stato confermato.

Il calendario delle competizioni europee inoltre viene totalmente stravolto per permettere ai propri calciatori di unirsi alle nazionali di appartenenza: per esempio la Serie A è stata costretta a organizzare partite a 3 giorni di distanza le une dalle altre nonostante normalmente si disputassero ogni 7 giorni, il che ha causato anche diversi infortuni e molte illustri assenze per la competizione mondiale.

Il Tour De Force non è stato compiuto però solo dai calciatori: arrivano dalle maggiori testate giornalistiche inchieste su morti bianche causate dai lavori disumani compiuti dagli immigrati ingaggiati per la costruzione degli stadi e di tutte le infrastrutture necessarie per un evento di questa portata. Il Qatar difatti aveva un solo stadio a Doha e, in 12 anni, si ritrova con ben 7 nuovi stadi e nuovi aeroporti, strade, hotel. Si presume che il numero delle vittime ammonti a 6.500 persone circa, la maggior parte delle quali immigrati provenienti dai paesi limitrofi in cerca di fortuna. Lavoratori privi di diritti costretti a lavorare con orari e temperature estenuanti. La Fifa riconosce però solo 37 morti per la causa, un numero esiguo e irreale.

I tifosi di tutto il mondo inoltre si rifiutano di partire per l’Arabia orientale per assistere ad un Mondiale che si prospetta essere il più ambiguo di sempre anche per i diversi divieti e provvedimenti messi in atto dal governo locale. Infatti è vietato bere alcolici all’interno degli stadi e sarà consentito solo prima e dopo determinate partite. Sono vietate le effusioni amorose tra due individui appartenenti alla comunità LGBTQ+, definita dall’ambasciatore del Qatar per i Mondiali del 2022 “un danno psichico”. Proibiti gli abiti corti, le gonne, le bestemmie (punibili con 7 anni di carcere), la musica ad alto volume, i rapporti sessuali tra due persone non sposate, fotografare persone senza il consenso degli interessati. Un ambiente dunque poco sereno e pieno di minacce che allontanano sempre di più possibili visitatori.

Per la risoluzione di questo problema il governo qatariota dunque si pensa si sia impegnato nel pagamento di 1.600 persone travestite da tifosi argentini, tedeschi e portoghesi, tutti muniti di kit completo contenente maglia, bandiera e cappellino. Casi sospetti analoghi sono avvenuti sempre in Qatar in altre manifestazioni sportive come per i campionati mondiali di Atletica leggera. Il tutto per avere tribune piene.

Tutte queste controversie politiche, economiche e sociali hanno perciò portato l’opinione pubblica ad opporsi alla manifestazione con tantissimi piccoli gesti a supporto sia della comunità arcobaleno sia delle vittime dei lavoratori. Questo partendo dal trend dell’hashtag #BoycottQatar su Twitter e Instagram, per finire con azioni concrete come quella portata dallo sponsor della Danimarca Hummel che ha creato maglie nelle quali sia il logo della nazionale che dello sponsor sono quasi invisibili in quanto dello stesso colore del tessuto. Questo per non essere visibili in un torneo che non supporta i diritti umani. La terza maglia danese tra l’altro è nera in segno di lutto per le vittime dei cantieri. Inoltre le squadre indosseranno delle fasce arcobaleno al braccio, su questa iniziativa però non tutte le nazionali concordano tra cui quella francese, il cui capitano Lloris si dichiara rispettoso delle regole del paese ospitante.

Anche il mondo della musica ha preso una posizione con Dua Lipa e Rod Stewart che hanno rifiutato fermamente gli inviti per la partecipazione nella rappresentanza canora. Presenti comunque cantanti che hanno accettato l’invito, fortemente criticati sui social, come Nicky Minaj, Shakira e Robbie Williams.

Ecco cosa rimane di quello sport che ha emozionato tanti cuori con la passione di 22 giocatori su un campo contaminato sempre più da fini economici e capitalistici.

 

Sofia Giardina IIIBC