La libertà di parola e d’espressione in questi giorni sembra messa a repentaglio in Europa e, di fronte ad espliciti casi di censura, si riapre il dibattito sul diritto di scrivere.
Non dobbiamo credere che il pericolo stia solo “fuori”, perché anche nella nostra società occidentale nascono nuovi fenomeni che minano la condivisione di pensieri multipli, quei pensieri che garantiscono l’esistenza delle innumerevoli sfaccettature del mondo. Infatti, parallelamente all’aumento esponenziale delle possibilità di accesso ai social, cresce un nuovo modo di interfacciarsi con l’attualità: l’obbligo di avere un’opinione su tutto, la polarizzazione del pensiero e la “cancel culture” per tutto ciò che non rientra nei valori del gruppo a cui apparteniamo.
Il primo caso riguarda appunto la miriade di storie che qualche giorno fa abbiamo scrollato su Instagram: un sacco di creator si sono sentiti di doversi “scusare” per aver deciso di non parlare di una situazione più grande di noi, che nemmeno molti esperti di geopolitica potrebbero sbrogliare. Non dobbiamo essere informati sempre su tutto e non dobbiamo farcene una colpa. In secondo luogo molti avvenimenti negli ultimi anni ci hanno fatto capire come ormai sui social si può commentare solo con un sì o un no la polemica di turno; è accaduto con Checco Zalone a Sanremo, ma capita anche con campagne più serie, come per l’aborto. Anche per questo bisogna chiarire che tra il bianco e il nero ci sono infinite gradazioni di grigio, ma il sistema odierno tende a scordarsene.
Infine la famigerata “cancel culture”, fenomeno complesso; iniziato con buoni propositi ma forse ormai ha perso il proprio scopo. Questo termine all’origine indicava, insieme all’ideologia woke, la nuova consapevolezza dell’esistenza delle minoranze che doveva cambiare quindi l’approccio alla cultura e al mondo accademico ed in generale la comunicazione tra il gruppo dominante e la minoranza. La messa al bando di termini considerati offensivi, come la n-word, nasce dalla volontà di includere o riconoscere la voce e la dignità dei suddetti gruppi. Però, complice la polarizzazione appunto, oggi la “cancel culture” è diventata un mezzo per boicottare artisti e celebrità accusati di aver fatto un passo falso nella loro vita privata. Per esempio è accaduto a Woody Allen di vedersi recesso il suo contratto con Amazon per la distribuzione del suo nuovo film e quello con Hachette, casa editrice che avrebbe dovuto pubblicare la sua autobiografia “A proposito di niente” negli USA, in seguito al riaccendersi recentemente della polemica sulle accuse mosse dalla ex moglie di aver violentato la loro figlia adottiva. Trascurando che nel processo non è stato dichiarato colpevole per inesistenza di prove, ciò ci dimostra che stiamo correndo il pericolo di cancellare e ripudiare uomini dalla incredibile creatività per qualcosa che è diverso e lontano dall’arte.
Ciò è diventato ancora più palese negli ultimi giorni con la cancellazione del corso di Paolo Nori, esperto di letteratura russa (autore fra le altre cose del libro edito per Mondadori Sanguina ancora), che doveva approfondire la figura di Dostoevskij all’università di Milano-Bicocca. La tensione accumulata dallo scoppio del conflitto e l’inizio delle sanzioni in campo sportivo ed economico contro la Russia avevano spinto l’ateneo ad annullare il corso sullo scrittore russo, operando una vera e propria opera di censura e boicottaggio, spinto soltanto dalla repulsione suscitata dal fatto che l’autore de I fratelli Karamazov fosse nato a Mosca. Questa scelta però è stata bollata da social e giornalisti come “assurda” tanto che con un messaggio di scuse l’università è tornata sui suoi passi e molti altri atenei adesso per solidarietà organizzeranno ulteriori conferenze con Nori.
Ma se crediamo che oggi la damnatio memoriae riguardi solo i progressisti, come dichiara qualche testata giornalistica, in realtà si cerca di cancellare il passato anche in altro modo: ultimamente in vari stati americani a maggioranza repubblicana si è scatenata una tempesta mediatica perché si è tentato di redigere un nuovo “indice di libri proibiti” dopo che alcuni genitori e presidi hanno votato per eliminare dalle biblioteche scolastiche libri come Maus, graphic novel che ha vinto il premio Pulitzer per aver raccontato l’Olocausto attraverso disegni di topolini, L’occhio più azzurro, storia di una bambina afroamericana vittima di abusi anche incestuosi scritto dal premio Nobel per la letteratura Toni Morrison, ma anche classici come Il buio oltre la siepe e Uomini e topi. Il timore di chi ha cercato di estrometterli dal programma scolastico di terza media è stato il linguaggio scurrile, la descrizione di crudeltà come abusi sessuali e anche il suicidio. Lodevole ma inutile il tentativo compiuto dai genitori di preservare le candide menti di ragazzi comunque abbastanza maturi da comprendere cosa sia il sesso, che ci sono persone che dicono parolacce, che ci sono persone che si tolgono la vita, perché comunque l’avrebbero appreso fuori dalla scuola probabilmente senza una guida adatta come potrebbe esserlo un docente durante l’analisi di un’opera che contiene temi così delicati. Tali provvedimenti risultano ancora più sorprendenti se pensiamo che lo stesso processo ha colpito anche l’autobiografia di Maya Angelou, scrittrice afroamericana che ha subìto da piccolissima discriminazione razziale e abusi da parte del patrigno, mentre ragazzi ben più grandi di lei quando subì tutto questo non potranno leggere ciò che ha passato e che l’ha portata a scrivere. Senza contare che potrebbero esserci là tra i corridoi e le mense tante altre vittime che aspettano una storia vicina a loro per trovare consapevolezza per agire.
Insomma, la censura non è un fatto politico ma viene da chiedersi: questi episodi sono incidenti di percorso che ci fanno da monito o sono segni premonitori? Serve per risvegliare le persone dall’assopimento culturale o sono scricchiolii che anticipano un crollo? Quello che sappiamo per certo è che sono una buona occasione per mettere in ballo le sicurezze che avevamo e rivedere i nostri valori e priorità: non fidatevi mai di qualcuno che vuole portarvi via i libri e le vostre storie, perché la Storia ci ha insegnato che nella maggior parte dei casi è una fregatura.