E tu lo sai cosa c’è nel tuo piatto?

Oggi noi gen Z siamo abituati a seguire influencer che celebrano le proprie colazioni a base di avocado toast, porridge con le banane e altri frutti esotici, tazze piene di caffè o matcha latte, pranzo col sushi e cena dall’indiano. Inoltre, noi occidentali siamo abituati a trovare tutto in ogni momento dell’anno nei nostri supermercati; la natura è particolarmente generosa nei nostri confronti? La risposta è no, solamente disponiamo di così tanto capitale che dirigiamo sulle nostre esigenze l’agricoltura mondiale. Molto spesso di questi alimenti non abbiamo un “bisogno” basilare per la nostra dieta, ma sono prodotti che consumiamo più per sfizio e piacere (vedi cacao, tè e caffè) e nonostante questo milioni di ettari sono adibiti a queste colture. Queste piantagioni aprono una questione ben importante sia dal punto di vista socia sia da quello ambientale: infatti le zone tropicali in cui viene portata avanti gran parte di queste culture vengono continuamente soggette a deforestazioni per garantire il fabbisogno di prodotto richiesto dalla domanda estera, così facendo si sottrae suolo anche all’agricoltura di sussistenza della regione che si vede obbligata a importare a prezzi insostenibili prodotti necessari come frumento e altri cereali, senza contare che le piantagioni impoveriscono notevolmente il suolo e dopo alcuni cicli di colture intensive diventano inutilizzabili per le successive. Questo pesa soprattutto sulla qualità della vita degli abitanti delle zone dove la riduzione della biodiversità aumenta l’insorgere di malattie batteriche e virali e aumenta la povertà. Ma anche in Europa produciamo molte derrate alimentari quali frumento, latticini e carne da allevamenti: qui il problema più che sociale riguarda proprio l’eticità dell’industria “carnivora”. Se poi contiamo quanto cibo viene sprecato ogni giorno e il consumo di carburante per il trasporto di quest’ultimo, sarà palese a tutti che l’industria alimentare va avanti a ritmi insostenibili.
Per queste ma anche altre questioni irrisolte il progetto EIT (European Institute of Technology) dell’UE ha creato uno spazio divulgativo: “Food Unfolded”. Questo progetto digitale e globale sta creando una community sia sul proprio portale che sul canale Instagram @foodunfolded (che conta già 64 mila follower), sui quali attraverso stories, articoli e video entriamo in contatto con il cibo e con l’origine di ciò che portiamo in tavola. Il contributo di giornalisti e studiosi di tutta l’Unione Europea ci illumina su come le nostre scelte sulla spesa hanno un preciso peso per la salute nostra e dei lavoratori, degli animali e del pianeta stesso. Un esempio riguarda la produzione del latte, come ampiamente trattato dalla giornalista Katharina Kropshofer: oggi la produzione lattifera comincia proprio dal feto della mucca che viene analizzato geneticamente permettendo una pre-selezione dei capi più produttivi già prima della nascita. La vita di queste mucche passa poi tra ormoni e alimenti speciali per velocizzare la crescita e la produzione velocizzata degli ovuli; praticamente il capo viene costretto a gravidanze consecutive così da produrre in un tempo pressoché ininterrotto il latte. Ovviamente tutti i vitelli vengono ad essere un peso e in un certo senso un prodotto di scarto per l’azienda che quindi li separa immediatamente dalla madre per non permettere la nascita del rapporto col figlio; di seguito si selezionano i capi di sesso femminile per succedere alla produzione mentre i maschi più prestanti vengono macellati entro tre mesi per offrire della carne tenerissima; la gran parte dei nati comunque viene sottoposta all’eutanasia entro le prime settimane. Il progetto inoltre parla largamente della dimensione futura del nostro rapporto col cibo viste le conseguenze ambientali del cambiamento climatico: molti articoli sono dedicati ad un’alimentazione plant-based o vegana, quella che secondo numerosi studi (tra i quali quello di Poore e Nemecek) è la più sostenibile per le emissioni di CO2 e metano.
Per concludere quindi ognuno di noi dovrebbe riflettere su quale potere sta nelle nostre mani: il modo di investire e comprare ha cambiato il corso del nostro secolo affermando il consumismo, ma forse è arrivato il momento di cambiare (nel settore alimentare così come in quello dell’abbigliamento, trasporti…) per migliorare delle vite e salvarne alcune, per tutelare l’ambiente e la biodiversità oltre che la dignità di intere generazioni.