Non è depressione, non è una mancanza di speranza, ma l’assenza di gioia e di uno scopo. Secondo il New York Times, l’emozione che ci accompagnerà per tutto il 2021 ha un nome: si chiama “languishing”.
“È un senso di stagnazione e di vuoto. Ti senti come se ti stessi confondendo tra i giorni, come se guardassi la tua vita da un finestrino appannato”, scrive l’autore dell’articolo, Adam Grant.
“È l’assenza di benessere. Non hai sintomi di disagi psichici, ma non neanche sei il ritratto della salute mentale. Non funzioni al massimo delle tue capacità. Il ‘languishing’ spegne la tua motivazione e distrugge la tua capacità di concentrarti”, aggiunge.
A coniare il termine è Corey Keyes, portando avanti una ricerca che dimostra come le persone che tra dieci anni soffriranno di depressione e disturbi d’ansia sono quelle che oggi stanno ‘languendo’.
Ma qual è il pericolo insito in questo status emozionale? Secondo lo psicologo, è l’inconsapevolezza. “Non riesci a percepire te stesso scivolare lentamente nella solitudine. Sei indifferente alla tua indifferenza – scrive sul NYT -. E quando non riesci a capire che stai soffrendo, non puoi cercare aiuto né fare molto per aiutare te stesso”.
Gli scienziati e i medici stanno facendo del loro meglio per appianare la situazione, eppure nel frattempo molte persone si trovano a dover affrontare le varie ripercussioni psicologiche. Queste possono colpire duramente e a sorpresa, proprio mentre la paura dello scorso anno si solleva. “All’inizio non ho riconosciuto tutti i sintomi che avevamo in comune – scrive l’autore -. Amici che mi dicevano di avere problemi a concentrarsi. Colleghi che, anche col vaccino all’orizzonte, non erano affatto eccitati per l’arrivo del 2021. E io che invece di balzare giù dal letto ogni mattina mi metto a giocare un’ora a Words with Friends”.
Tuttavia sembra esserci una soluzione:
Per prima cosa, è necessario dare un nome a questa emozione, in modo da far capire che non è una problematica che colpisce il singolo individuo, ma è un qualcosa che molti stanno subendo.
Il NYT ricorda che la scorsa estate la giornalista Daphne K Lee ha twittato un’espressione usata in Cina che potrebbe tradursi con il “rimandare l’andare al letto per vendetta”.
Ovvero riuscire a reclamare la propria libertà persa durante il giorno rimando svegli durante la notte. Un comportamento che rivela una voglia di riprendere il controllo.
Tanti lo stavano sperimentando e allora tanto valeva dargli un nome. Lo stesso bisognerebbe fare per il “languishing”.
Come possiamo combattere questa assenza di gioia, questa stasi, dunque? In inglese, c’è la parola “flow”, (“flusso” / “fluire”), che sembrerebbe essere la soluzione adatta.
Con questo termine si intende quello stato di abbandono piacevole che proviamo quando siamo completamente assorbiti da qualcosa, quel momento in cui perdiamo la cognizione del tempo, dello spazio, della realtà; riuscendo a immergersi totalmente in ciò che stiamo facendo, come la visione di una serie tv su Netflix, la lettura del nostro libro preferito o osservare il tramonto…tutte quelle attività che possono avere quel magico potere di trasportarci via e di salvarci, seppure non in modo permanente, dalla negatività.
L’ultimo avvertimento che lo psicologo lascia nell’articolo è quello di fare attenzione a dedicare a noi stessi un tempo non frammentato.
La pandemia ci ha costretti a cambiare mansione ogni dieci minuti, passando dal nostro lavoro ai nostri figli alla cura della casa in un batter d’occhio, tutti fattori a favore del “languishing”. Dobbiamo essere in grado di reagire, senza ignorare la sua esistenza.
Non esistono solo le malattie fisiche, ma anche quelle mentali ed è fondamentale ricordarlo ora più che mai, durante un’epoca postpandemica.
“Se non hai la depressione, non vuol dire che tu non stia soffrendo. Se non hai il burn out non vuol dire che tu non sia esaurito – conclude Grant -. Sapendo che molti di noi stanno ‘languendo’, possiamo finalmente iniziare a dare una voce a questa sommessa disperazione”.