Sono trascorsi 700 anni dalla morte di Dante Alighieri eppure il Sommo Poeta continua ad ispirarci valori attuali e a darci la chiave di lettura del presente. Egli è stato testimone critico del suo tempo, profondamente convinto della necessità di separare lo Stato dalla Chiesa, con una precisa idea di Europa unita intesa come unità sovranazionale e con un’idea della politica declinata nella sua forma più pura. I valori su cui insiste sono la fede, il libero arbitrio, l’amore che non dobbiamo intendere solo verso Dio ma anche verso l’umanità. Il suo viaggio approderà al Paradiso esempio mirabile di fraternità e di comunità che si oppone all’individualismo dell’inferno. Combatte ogni forma di ingiustizia perché egli ne è stato vittima.
Dante, infatti, protagonista indiscusso della scena politica fiorentina del suo tempo, fu accusato di corruzione, fu condannato all’interdizione dai pubblici uffici, al pagamento di una multa di 5000 fiorini, alla confisca dei beni ed infine all’esilio perpetuo poi trasformato in pena di morte. Gli fu fatale la netta opposizione alle mire espansionistiche di Papa Bonifacio VIII il quale, alleatosi con Carlo di Valois, rovesciò il governo dei Guelfi bianchi a Firenze e al loro posto salì al potere la fazione dei Guelfi neri. Dante fu isolato dai compagni di partito e osteggiato dai suoi avversari politici che non gli avevano perdonato la scelta, come membro del Consiglio dei Cento, della messa al bando dalla città di Firenze degli esponenti più facinorosi di entrambe le fazioni. In realtà l’ostilità verso Dante nasce dal fatto che la sua mentalità era molto distante da quella della società del suo tempo e la sua opera di intellettuale era finalizzata a riformare la Chiesa, la politica, la società civile, una rivoluzione che credeva potesse avvenire solo a partire da un cambiamento di tipo culturale.
Dante innocente, vittima della giustizia corrotta del tempo, una giustizia utilizzata come spesso è accaduto nella storia, per eliminare gli avversari politici.
Il tema della giustizia è pertanto il tema per eccellenza della Divina Commedia attraverso la quale egli ha voluto dimostrare la propria innocenza dalle accuse che gli erano state rivolte. Il Sacro poema rappresenta per lui il momento del riscatto, egli diventa giudice integerrimo, condanna i colpevoli e premia i meritevoli. “Giustizia mosse il mio alto fattore” si legge sulla sommità della porta dell’inferno. E’ dio che promuove la giustizia eppure sulla terra i potenti non se ne curano e agiscono in barba alle leggi senza alcun timore della giusta punizione. “Diligite iustitiam, qui iudicatis terram”, amate la giustizia voi che governate la terra, questo è l’appello che rivolge ai regnanti nel XVIII canto del Paradiso. Ancora oggi quell’appello deve essere gridato a gran voce perché la giustizia è il principio cardine della democrazia, che si realizza solo con l’applicazione della legalità, del rispetto per l’altro e dei diritti di ogni cittadino.
Tuttavia il progetto di civiltà del Sommo poeta non sembra ancora essersi pienamente realizzato, purtroppo alcuni comportamenti da lui tanto deprecati si sono oggi radicalizzati come per esempio la ricerca ossessiva di denaro, il vantaggio privato a spese del bene pubblico, l’ignavia che caratterizza politici e gente comune, l’uso dell’intelligenza non sempre accompagnata dalla virtù che spesso spinge l’uomo a farne un uso non etico e moralmente condannabile.
Ma forse la straordinarietà di Dante consiste proprio in questo continuo ammonire l’umanità, nella sua imperturbabile ostinazione nel suggerirci la strada da seguire, nel proporci di prendere esempio dai sapienti e di mettere in pratica l’amore, la carità e l’umiltà dei giusti.