Competizione, ossessione, malessere: sono queste le parole che affiorano alla mente pensando alla realtà dei voti scolastici. Sia che la si odi, sia che la si ami, la scuola esercita un ruolo fondamentale nella vita di ciascuno ed è innegabile la sua importanza dal punto di vista formativo. Nata con l’obiettivo di trasmettere il sapere agli studenti, di insegnare a ragionare con la propria mente, di garantire cultura e quindi indipendenza, è tuttavia chiaro che imparare nel vero senso della parola sia passato in secondo piano.
Gli studenti italiani sono tra i più stressati e sotto pressione in Europa a causa del carico di lavoro dello studio, che spesso risulta insostenibile, e ciò li porta ad avere un brutto rapporto con la scuola. Lo conferma l’ufficio europeo dell’OMS, che contiene dati raccolti tra il 2013 e il 2014 su ragazzi e ragazze di 11, 13 e 15 anni. Secondo il sondaggio solo il 26% delle studentesse undicenni e il 17% dei colleghi maschi dichiara che la scuola “piace un sacco”. La percentuale scende vertiginosamente per i ragazzi di 15 anni, rispettivamente al 10% e 8%. I dati sono poco incoraggianti anche dal punto di vista della pressione percepita, con lo stress che colpisce il 72% delle ragazze il 51% dei ragazzi. La causa non è solamente legata alla richiesta in termini di impegno, ma anche, e in particolare, al raggiungimento di determinati voti. La scuola dovrebbe rappresentare uno spazio sicuro dove crescere, fare amicizie, esperienze e, soprattutto, dove apprendere diventa piacevole. Al contrario, i ragazzi raccontano di mal di testa, tremori, tachicardia, blocchi emotivi. Lo stress e l’ansia riguardano, nello specifico, le interrogazioni, che iniziano già dalla scuola primaria. Ci si aspetta che gli studenti siano fin da principio in grado di sostenere performance impeccabili, ignorando che non tutti i bambini e i ragazzi riescono ad esprimersi con facilità. Molti, infatti, temono di mostrarsi davanti agli altri per paura di dimenticare tutto quello che hanno studiato. La ciliegina sulla torta sono poi le valutazioni numeriche. Il voto è pericoloso poiché spinge gli studenti a studiare e impegnarsi esclusivamente per ottenere i desideratissimi 9 e 10, con la conseguenza che la brama di conoscenza e l’interesse verso le materie assumono un ruolo secondario. Gli studenti spesso non riescono a comprendere che il voto si riferisce a una sola performance e sono portati a credere che definisca la loro persona. Il voto è solo un numero, che pretende di misurare le capacità di ogni studente, dando per scontato che tutti siano uguali.
I voti sono pericolosi non solo per gli studenti, ma anche per i genitori: ingenerano aspettative inarrivabili e spesso destinate a non essere soddisfatte, provocando quindi frustrazione e rabbia nel ragazzo. Si instaura una competizione malsana, non solo per superare gli altri, ma anche per superare, esagerando, i propri limiti.
E allora quale potrebbe essere la soluzione per coniugare al meglio le esigenze intellettuali e psicologiche degli studenti con la, comunque, innegabile necessità di una valutazione scolastica? Probabilmente il ritorno a un giudizio non numerico, ma verbale e articolato potrebbe contribuire a coniugare le due esigenze, consentendo una valutazione più ampia della performance dello studente, comprensiva non soltanto della “quantità” di apprendimento, ma anche della “qualità” dello stesso.
Scritto con Beatrice Russello