Il titolo è piuttosto esplicativo, nel 2021, anno in cui la democrazia dovrebbe essere più che consolidata, in gran parte del mondo è possibile assistere ad avvenimenti come quelli che si stanno consumando in questi giorni in Myanmar. Per chi non lo conoscesse, il Myanmar, paese del Sudest Asiatico che confina con India, Tailandia e Cina tra le altre, è stato in passato noto come Birmania ed ha una popolazione di 54 Milioni di abitanti, non molto lontana da quella dell’Italia. Il paese con capitale Naypyidaw non è solo molto povero, e quindi fuori dai riflettori internazionali, ma per di più popolato da più di un centinaio di etnie diverse che, nonostante piccole parentesi con qualche forte personalità al comando, sono sempre state in contrasto, tanto che, dal 1948 in Myanmar è in corso la più lunga guerra civile al mondo. La mattina del 1° febbraio, la leader della Lega Nazionale per la Democrazia e, di fatto anche la leader della nazione, Aung San Suu Kyi, vincitrice del Premio Nobel per la pace nel 1991, è stata arrestata dall’esercito, scintilla che ha praticamente sancito l’inizio del colpo di stato. L’esercito, nella storia, pur non essendo affatto ben visto, ha assunto un ruolo di collante e per di più di una reale forza di controllo politico occupando anche un posto fisso in parlamento. La ‘democrazia’ era stata raggiunta nel 2010 quando, a seguito dello scioglimento della Giunta Militare erano state indette le prime elezioni che tuttavia hanno visto durante la formazione del parlamento una forte pressione dell’esercito che ha ricevuto un quarto dei seggi, e che col tempo ha anche trovato un partito di riferimento, che comunque ottiene scarsi risultati. Alle ultime elezioni, lo scorso novembre, il partito di Destra della solidarietà e dello sviluppo, meglio noto come il partito dei militari, è andato così male che i vertici dell’esercito, infuriati, hanno subito gridato alla frode e ai brogli elettorali; brogli che però sono abbastanza inverosimili vista l’enorme influenza che l’esercito ha sulla popolazione e allo stesso tempo l’altrettanto grande popolarità di San Suu Kyi. Infine ritorniamo ai giorni d’oggi, sulla stampa si è subito parlato di Golpe, teorie immediatamente smentite dai militari che però alla fine si sono concretizzate con l’arresto della leader San Suu Kyi. Subito dopo l’arresto, il blocco di strade, trasmissioni televisive e altri strumenti di oppressione adoperati per scongiurare proteste è stato reso noto che il governo militare sarebbe durato un anno, giusto il tempo di riscrivere la costituzione. Il golpe è stato subito condannato dalle più alte cariche europee e mondiali, alcune delle quali si sono anche offerte di intervenire al complicarsi della situazione. Per tutta la settimana dopo l’arresto, numerose e partecipatissime proteste si sono susseguite nelle strade delle principali città del paese e hanno visto unirsi una grande diversità di strati sociali tra cui anche monaci buddisti, per esempio. Nonostante le proteste siano pacifiche, è stato istituito un coprifuoco ed è assolutamente vietato riunirsi in gruppi di numero superiore a cinque persone. Mentre si sono registrati i primi scontri con la polizia, la situazione sembra molto confusa a detta del corrispondente sul luogo della BBC, infatti negli ultimi giorni le proteste si sono intensificate, proprio come la presenza dei militari per le strade che hanno addirittura adoperato carri armati in alcune città. Mentre la detenzione della leader San Suu Kyi, che sarebbe dovuta terminare lunedì 15 febbraio, viene prolungata di giorno in giorno, i manifestanti continuano la loro lotta verso la restaurazione della democrazia, sebbene secondo una nuova legge degli ultimi giorni possano rischiare fino a 20 anni di prigione.