«Gli assorbenti dovrebbero essere gratuiti perché sono indispensabili» La tampon tax è l’imposta sul valore aggiunto applicata su assorbenti, tamponi e coppette mestruali che non tiene conto e ignora il fatto che, questi ultimi, sono dei beni necessari per le donne.
Ciò si può notare dall’IVA con cui sono tassati gli assorbenti in Italia, che la camera dei deputati ha recentemente abbassato dal 22 al 5 per cento, ma solo per gli assorbenti biodegradabili e compostabili, che sono di norma più costosi dei tradizionali tamponi, e non sono comunemente usati dalle donne.
La decisione, arrivata dopo la bocciatura della proposta di abbassare l’iva al 10 per cento su tutti i prodotti igienici femminili, sembra essere dovuta a delle esigenze ambientali.
In altri Stati, come l’Inghilterra, la Francia, il Portogallo, l’Olanda, la Spagna e il Belgio, l’aliquota di questi beni è inferiore alla nostra o è stata ridotta, e addirittura in Canada, Kenya e Uganda è stata abolita. Per questo motivo, nel nostro paese, si lotta, ancor oggi, affinchè gli assorbenti siano gratuiti. Ce lo dimostrano delle studentesse universitarie di Salerno, che hanno affisso, nelle bacheche e sui muri della scuola, dei cartelli e dei volantini con su scritto: “Il ciclo non è un lusso e non è una scelta”, lasciando inoltre nei bagni della scuola, le tampon box, distributori di tamponi gestite totalmente dalle studentesse.
Secondo uno studio del 2017 condotto dal marchio di prodotti femminile “Always”, una ragazza americana su cinque ha lasciato la scuola o ha perso giorni di lezione perché non aveva analgesici o assorbenti. In Italia non ci sono dati specifici a riguardo, l’Istat, Istituto nazionale di statistica, ha però fornito il numero delle donne vive in condizioni di indigenza: 2 milioni 277mila. È un problema che riguarda tutto il mondo, che persiste perchè le mestruazioni sono viste come un tabù. Proprio per questo la giornalista e scrittrice Èlise Thiébaut scrive, nel suo saggio “Questo è il mio sangue”, una sorta di manifesto delle mestruazioni in cui discute del perché ancora oggi il ciclo sia un argomento di cui ci si vergogna e che discrimina e isola socialmente: «Dalla donna più povera alla più ricca dalla più ignorante alla più istruita le mestruazioni restano ancora oggi il tabù numero uno, inserito nella Top Ten delle cose alla cui esistenza si accenna sottovoce con aria cospiratoria. Ecco per questo motivo si può parlare di diseguaglianza mestruale poiché le mestruazioni sono oggetto di tabù e le donne subiscono per questo una forma di oppressione che nessun uomo conoscerà mai». La battaglia, portata avanti anche da diverse associazioni, sta già dando i primi frutti, ma dobbiamo impegnarci tutti affinchè ci sia una riduzione della tassazione, che porterebbe ad arginare la period poverty che non è semplicemente un altro aspetto della povertà: è il riflesso di una società guidata dalle disuguaglianze di genere, una questione assolutamente da non sottovalutare in quanto compromette l’accesso all’educazione, alle opportunità, all’indipendenza e al mondo del lavoro.
La questione della tassazione degli assorbenti, comunque, non può essere letta solo attraverso una lente economica. Oltre la battaglia politica, c’è anche e soprattutto quella culturale. Equiparando i prodotti per le mestruazioni ad altri beni che non sono di prima necessità, come i telefoni o la birra, si manda alla società un messaggio distorto.
I prodotti igienici femminili devono essere considerati per quello che sono: beni essenziali la cui spesa inevitabile grava ingiustamente su chi deve usarli. Che in questo caso, sono solo le donne.